Era uscito presto la mattina, andando al lavoro. Mi aveva svegliata bruscamente e fatta spogliare, ancora la
mente persa nel sonno. Trascinata vicino all'ingresso, mi aveva fatto
indossare un collare e mi aveva legata accanto alla porta.
Lo guardavo incredula, inginocchiata nuda su quel freddo pavimento, le mani legate dietro alla schiena.
I suoi occhi scuri erano sprezzanti, i suoi gesti distaccati.
Senza degnarmi di uno sguardo aveva appoggiato una ciotola dell'acqua ai
miei piedi.
"Mi aspetterai qui", mi aveva detto "aspetterai il tuo
Padrone come fa una cagna, quale sei.
A te e ai guai che hai combinato, penserò dopo."
E poi aveva sbattuto la porta, senza darmi alcuna possibilità di replicare.
Ancora immersa nel sonno, facevo fatica a rendermi conto dell'accaduto.
Mi ero ritrovata lì, nella penombra della casa, inginocchiata nuda su un
pavimento gelido con scarsa possibilità di muovermi. A stento arrivavo
alla ciotola, sentivo il guinzaglio tirare e il collare solcare la pelle candida del mio collo. Quando realizzai la
situazione in cui ero finita, cominciai ad aver paura. Quante ore avrei
dovuto aspettare così? Cosa avevo fatto per meritarmi questo
trattamento? Cosa mi aspettava al suo ritorno?
La mia mente cominciò a vacillare, persa nella paura. Vedevo la luce filtrare dalle finestre, solo quello mi dava un'idea del trascorrere del tempo. Per il resto, silenzio.
Non so per quante ore ho tormentato la mia mente riempiendola di domande, con l'orecchio teso a percepire qualche rumore che accennasse al suo ritorno, la figa grondante di umori.
Poi crollai. Mi accucciai in terra come fa un cane docile ed esausto, e sprofondai nel sonno.
Mi svegliai di soprassalto per i rumori provenienti dalla porta. Era lui.
Mi spostò con i suoi piedi. Le scarpe a contatto con la mia pelle nuda mi diedero una sensazione di sporco.
"Inginocchiati" mi ordinò "ti avevo detto di aspettare, non di dormire!"
Era ancora arrabbiato, forse più della mattina.
Mi inginocchiai
velocemente, lo sguardo basso. Avevo paura. "Guarda!" mi aveva urlato,
indicando la chiazza dei miei umori sul pavimento "non sei nient'altro che una lurida cagna in calore!".
Slegò il guinzaglio e spingendo il mio volto sul pavimento mi ordinò
"prima pulisci questo schifo, poi facciamo i conti." Lo guardai con
occhi imploranti, ma mi resi subito conto che era meglio non obbiettare,
allora cominciai a pulire il pavimento con la
lingua.
Lui era in piedi accanto a me, sentivo il suo sguardo austero
osservarmi. Teneva stretto il guinzaglio e spingeva con un piede sulla
mia schiena, tanto che sentivo tirare il collare quando mi avvicinavo
con la testa al pavimento.
Finito di pulire mi rimisi in ginocchio.
"Brava cagna" disse. "Adesso alzati" e mi
costrinse ad alzarmi strattonandomi per il guinzaglio. Barcollavo
esausta, i polsi intorpiditi, ancora legati dietro la schiena.
Mi spinse con il volto alla parete e stacco il guinzaglio. Lo sentii
sibilare nell'aria, schioccare e affondare nella carne morbida del mio
sedere. Sussultai, urlando. "Stai zitta" urlò "non voglio sentire
niente, se non la tua voce che conta fino a 20".
Sentivo la pelle frizzare ad ogni frustata, la mente che cercava di gestire il dolore senza urlare, faceva fatica a tenere il conto. Continuò senza darmi la possibilità di respirare. Ero esausta, il volto rigato dalle lacrime.
"Bene, credo che avrai chiaro che devi obbedire, ora. Adesso
inginocchiati e dai piacere al tuo Padrone". Mi inginocchiai dolorante, e
senza poter dire una parola, mi ritrovai il suo cazzo piantato in gola.
Mi teneva la testa e mi scopava la
bocca con forza senza permettermi di respirare. Lo sentivo entrare ed
uscire, sbattermi fino in gola a togliermi il fiato, finchè non mi
riempì la bocca di sperma. Lo sentii gemere e mollare la presa sulla mia testa.
Mi guardò, mi aiutò ad alzarmi. Asciugò le mie lacrime e mi baciò "ti amo lurida cagna".
___IlBiancoEilNero
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